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mercoledì 12 ottobre 2011

CARO VESCOVO, I MIEI AUGURI SCOMODI

Francesco Comina
Ho letto con interesse la lettera che il giornalista e scrittore (ultimo lavoro Il cerchio di Panikkar con la prefazione di Serge Latouche) Francesco Comina ha indirizzato al nuovo Vescovo di Bolzano. L'ho trovata molto bella, scritta con il garbo e la fermezza che caratterizzano  la sensibilità di Francesco sulle tematiche a lui particolarmente care.In un momento di particolare smarrimento e disorientamento delle Comunità Cristiane, la lettera di Comina assume un significato che va oltre lo specifico destinatario e contribuisce al dibattito da più parti avvertito come momento di costruzione di un rinnovato ed autentico Cristianesimo. 
Caro vescovo,
mi scusi se non mi unirò al coro di coloro che oggi Le augurano “ogni bene” per la chiamata ad amministrare la nostra diocesi. Non è il solito vizio di voler andare controcorrente. Penso che le lusinghe e le gioie effimere siano virtù poco evangeliche. Un grande profeta del Novecento, don Primo Mazzolari, diceva: “Non la bonaccia, ma la tempesta è il tempo più appropriato per il cristiano”.

E dunque non Le faccio auguri comodi, ma scomodi.
Le auguro di essere in perpetuo travaglio dinnanzi ai problemi prorompenti della nostra storia.
Le auguro di sentire dal di dentro la desolazione dei giovani che brancolano in un mondo senza più speranze, quei giovani che in gran parte hanno abbandonato le chiese perché non avvertono più la forza concreta, vitale, di quella Parola che viene annunciata alla messa. Sentono un Dio lontano, relegato nella nuvole, ma poco presente nella storia. Una bella espressione di Josef Mayr-Nusser è quantomai attuale in questo senso: “Una stufa che non ha più da ardere non potrà riscaldare l'ambiente intorno”.
Le auguro di non dormire la notte se le fabbriche chiudono e licenziano gli operai che non possono più dare una speranza alle loro famiglie.
Le auguro di dire forte un No alle discriminazioni che penalizzano i poveri, e in particolar modo gli stranieri, i quali giungono a noi con la speranza di un riscatto possibile. Uscire dal sistema della gabbie etniche in Sudtirolo vale anche per gli immigrati che rischiano sempre più di diventare materia di sfida politica e, peggio ancora, elettoralistica, con i contraccolpi devastanti che possiamo immaginare (cavilli per accedere ai servizi, liste separate per i contributi per la casa, difficoltà nel ricongiungimento familiare...)
Le auguro di avere i brividi durante le notti invernali al pensiero che nella nostra ricca e fredda città ci siano uomini e donne che dormono all'aperto senza trovare rifugio (l'anno scorso un gruppo di profughi afghani ha dormito per mesi sulle scalinate dello stadio Druso).
Le auguro di impegnarsi con ogni mezzo contro la guerra e la violenza, non soltanto a parole, ma scendendo in piazza e condividendo gli appelli che ci arrivano dalle diocesi dilaniate dalle bombe, come ci ricorda l'amico arcivescovo iracheno, Louis Sako, di Kirkuk, che venne nel Suo episcopio a denunciare i crimini della guerra.
Le auguro di non assecondare mai lo spirito del tempo, come se le derive culturali, politiche, etiche, economiche che abbiamo sotto gli occhi, fossero il prezzo che dobbiamo pagare alla complessità di un sistema di cui siamo solamente dei cittadini e dei cristiani inerti. Troppi silenzi della Chiesa hanno contribuito in questi anni ad allontanare fedeli che si aspettavano una presa di posizione più diretta contro le prevaricazioni di potere.
Nei giorni scorsi Lei ha dichiarato che intende proseguire sul sentiero del dialogo intrapreso dai suoi predecessori, in modo particolare di Karl Golser, che nel dramma della malattia vive l'umanità del vangelo alimentando la speranza di molti.
Le auguro di perdere il sonno nel pensare a come realizzare una diocesi davvero interetnica, che sappia valorizzare i ruoli plurali dei fedeli senza ricorrere alla logica della proporzionale.
Le auguro di rispondere alle aspettative dei movimenti ecclesiali di base che chiedono maggior partecipazione nelle decisioni e una presenza più solida dei laici, un ruolo più attivo della donna e una maggior responsabilità delle scelte.
Mons.Ivo Muser
Le auguro di essere in questa nostra terra di frontiera un uomo di frontiera, un vescovo-ponte fra il passato e il futuro, fra l'esigenza di mantenere l'ordine della tradizione e il richiamo a far nuove tutte le cose, fra la necessità di conservare le forme storiche della fede e l'invito a vivere in un mondo divenuto adulto, ”etsi deus non daretur”, come se Dio non ci fosse, per dirla con le parole del grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai nazisti a Flossenburg.
Caro vescovo Muser, Le auguro di vivere la Sua ordinazione bruciato dal fuoco dei profeti, che sono poi quelli che non abbassano mai la testa, che non rinunciano a lottare per la giustizia e per la verità. Essere scomodi forse oggi è il modo più autentico per essere cristiani.

Francesco Comina

2 commenti:

  1. Francesco Comina
    Grazie Antonio, sempre molto bello, molto pungente, molto edificante il tuo blog

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  2. Una bella riflessione, per quanti, a torto si dicono cristiani o peggio cattolici e poi rifiutano l'altro, il peso della croce, dela carità, dell'umiltà
    Antonio Menna

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