Il virus dell’egoismo
Dati che non sembrano sfiorare minimamente quella parte di comunità
nazionale sicura di una immunità personale e familiare impegnata a programmare irrinunciabili
vacanze e grandi abbuffate allargate in barba ad ogni decreto e divieto, ad
ogni possibile pericolo per l’incolumità di bambini e anziani, un Natale ad
ogni costo sulla scia di una tradizione che non può tenere conto in maniera
assoluta di sobrietà e prudenza alcuna.
Settimane a contare i morti e contagiati ma soprattutto a discutere
sulla apertura di impianti sciistici e spostamenti tra regioni non per
comprensibili esigenze affettive ma per raggiungere seconde e terze case, per
le irrinunciabili vacanze invernali certi della propria immunità inconsapevoli
di quella incoscienza e superficialità a danno di se stessi, dei propri
familiari e di quanti potenzialmente a contatto anche se soltanto
sporadicamente.
Una serie di provvedimenti necessari per evitare quanto più
possibile occasioni di contagio, oggetto anche di contestazione non solo da
parte di quella categoria umana che con il negazionismo ha qualificato e dato
spessore alla stupidità ma anche da parte di parlamentari della opposizione e di
alcuni della maggioranza di governo, una idiozia tutta figlia della mediocrità
politica di questo Paese e di quel vizio italico di sottostare alle pressioni
di lobbies sponsorizzate da forze di governo e opposizione.
Una difesa ad oltranza del diritto a non rinunciare ad una
ritualità secondo canoni in linea con stili di vita divenuti patrimonio
irrinunciabile della maggioranza degli italiani, diversificati unicamente dalla
posizione economica, lontani dal senso di comunità, di condivisione perfino del
dolore, della sofferenza umana. Decine di migliaia di famiglie private di un
loro caro dal terribile virus destinate a trascorrere le festività del Natale
senza un padre, una madre, un marito, una moglie, un figlio, nella indifferenza
più totale, nei loro confronti il contagio peggiore, quella cultura
dell’indifferenza, cui ha fatto riferimento più volte Papa Francesco e prima
ancora Antonio Gramsci Odio l’indifferenza. Vivere
significa partecipare e non essere indifferenti a quello che succede.
Il virus dell’egoismo contrapposto alla cultura della solidarietà
che in tempi di pandemia assume un aspetto ancor più pericoloso, più grave se
riesce a trasformare in follia collettiva una serie di richieste da parte di
ambienti più disparati, una borghesia che pretende di tenersi ben stretti
privilegi e consuetudini acquisiti e fasce di popolazione trascinate in riti
gaudenti e illusori, entrambi in dispregio del bene comune e di quella
solidarietà e sensibilità senza le quali non sarà possibile costruire un
modello di società a misura d’uomo ma che purtroppo rischia di essere peggiore
dell’attuale.
Una solidarietà ed un’attenzione doverosa alle categorie più deboli
che in questa crisi pandemica il governo deve attuare con atti concreti, con
risorse sostanziose da dare in gestione ai sindaci che meglio di altri hanno
contezza dello stato di indigenza e di estrema povertà dei propri territori,
aiuti che non possono limitarsi ad un contributo una tantum in occasione del
Natale ma anche per i prossimi mesi certamente non facili.
La gestione di questa emergenza progressivamente sempre più
confusionaria anche per l’incapacità e l’inconsistenza di alcuni presidenti di
regione con manie di protagonismo e con il preciso obiettivo di nascondere
errori di gestione di una sanità che non può continuare ad essere in mani
incompetenti che risponda a logiche di bassa politica o peggio di malaffare. Tutta
la gestione del sistema sanitario deve essere
necessariamente in capo al Ministero della Salute supportato dalle istituzioni
locali, in primis dai comuni che meglio di altri hanno conoscenza delle
esigenze dei loro territori e questa emergenza, che presumibilmente avrà tempi
lunghi, deve essere necessariamente gestita dallo Stato centrale senza
ulteriori decreti uterini di presidenti di regione in conflittualità permanente
con ministri e sindaci e capaci soltanto di autoesaltazione mediante monologhi
e sproloqui puntualmente proposti in rete senza alcuna possibilità di confronto
per non intaccare il proprio ego.
Una volta fuori dall’euforia natalizia occorrerà mettere subito in
campo politiche per favorire sviluppo e lavoro, dando una prospettiva a partire
da subito ai nostri giovani e anche ai non più tanto giovani le cui esistenze
sono legate proprio a quella generazione travolta da questa pandemia, finita in
un’arida contabilità quotidiana e costretta da un sistema cinico seppur
comprensibile, a morire in solitudine restando soltanto nella memoria e per
molti anche nella disperazione per la mancanza di un sostentamento seppur
modesto ma indispensabile per la propria sopravvivenza.
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