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domenica 8 aprile 2018

La Poesia di Carlo Fedele/2






La poesia di Carlo Fedele


DIO NON C’E’ SULLA SPIAGGIA
La risacca mi ha portato su,
muto ed immobile.
Il braccio teso all'asciutto
e la forma del viso al bagnasciuga.
Nella tracolla Cristo e Amina,
due foto abbracciate nell'acqua.
C'è speranza, penso all'albeggiare.
Ci sarà un Dio che corre sulla sabbia...
L'ho visto arrampicarsi sul Surud Ad
e nuotare a ritroso nel Giuba:
ci sarà pure un Dio che corre sulla sabbia.
Questi occhi accecati dal sole,
le labbra tumide e il ventre pieno...
Dio! Corri presto al soccorso,
a me che mai nulla ti chiesi.
Nella mia Terra sono morto e poi nato,
perché a Gelib si nasce già morti,
nella mia Terra si torna solo morti.
Oh, pescatore, guarda questi occhi assenti,
sei tu forse il Dio che cerco ora?
Sono vivo! Vivo! Chiedimelo!
Chiedimi chi sono, da dove vengo,
e se ho studiato. Non sono solo un nero!
Chiedimi di Amina mia, chiamala,
Rahsaan è qui, vivo! Vivo che aspetta!
Aspetta...
Aspetta…
Aspetta…
Perché lenzuola bianca, pescatore?
Perché non corri finanche
sul mio corpo, Dio? Perché?
La risacca mi riporta giù,
muto, immobile.
E tu pescatore mi tiri per mano,
come tiri la rete, con sudore e fatica.
Altre voci, altre mani, qualche pianto.
Io non piango più...
Non si può piangere da morto.
Nessun Dio piange per Africa,
ma l'Africa non muore,
al contrario di me.


Vorrei vederti Africa,
fa niente il sole che schizza sull'onda
e mi acceca come lo specchio ustorio.
Voglio vederti,
fossi pure un "toubab" *
come gridano i nostri bambini.
I miei compagni di sventura
guardano a destra e a sinistra
e ti vedono un po' lì, un po' qua.
Per me rimani davanti, Africa,
come quando a nuoto
seguendo la scia del sole
cerchi di raggiungere l'orizzonte
e non ci arrivi mai.
Il mio sguardo è fisso su di te.
Gli uccelli migratori partono
per le nostre spiagge
ed io vorrei poter volar con loro.
Immagino laggiù vederti correre,
mamma,
col tuo secchio d'acqua
della pozza dopo la pioggia.
Immagino la piccola N’Dey,
a dorso d'asino col mio vecchio,
andare a far la spesa per mercati.
La sterpaglia alle spalle
è la stessa, mamma mia,
così come il mare è dello stesso colore.
E' la terra, mamma Africa,
che non è uguale:
non vedo l'orma del leone
e l'ebano del Senegal
sul quale salire.
Qui vivo a volte di carità
ma anche di duro lavoro, mamma,
a volte come John Casor,
schiavo legale nelle colonie,
sono proprietà privata
del capo dei pomodori.
Ma non mi lamento, mamma,
vorrei solo tornare,
a lavorare nei nostri campi,
nei rituali dei nostri saluti,
nelle preghiere della sera,
nelle assemblee dei villaggi,
sotto la luna piena
ai ritmi dei tamburi.
Credevo meglio, mamma,
quando andai via.
Scansando la nera signora del mare
trovai qui i padroni del male.
Per fortuna, però,
ho trovato anche l'uomo buono,
mamma.
Parte dalla sua terra
come sono partito io,
con i treni
che a noi non sono permessi,
mamma.
Ma ha la mia stessa faccia,
perchè i poveri, mamma Africa,
bianchi, neri o rossi,
hanno tutti la stessa faccia.

* uomo bianco

Precedente pubblicazione 1 Aprile 2018

1 commento:

  1. Grazie non solo per lo spazio che spero meritare, ma soprattutto per la pubblicazione di queste opere proprio quando, purtroppo, il mondo sembra andare in un'alttra direzione. C'è chi resta umano.
    Carlo Fedele

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